Il vino non mette allegria se si è da soli, ci getta, non so ben dirvi dove ma questa nave ha uno strano timone. Io brindo a te anima torbida e dolce, brindo a quel tavolo di legno dove ho appoggiato il peccato, brindo a tutti i posaceneri del mondo, brindo a tutte queste fontane che sgorgano acqua, quanto sarebbe bello poterne prendere un po' da ognuna. Quanto sarebbe bello conoscervi uno ad uno, innamorarmi e poi sottrarmi alla vostra possessione, quanto sarebbe bello poter gioire un secondo, uno scoppio di vita, quanto sarebbe bello.
Io sono tutto e tutto è imprigionato dentro di me, sono rabbia, nocche rosse, oppure sono passione, carezze di velluto, sono malinconia, miele amaro. Sono tutto e per questo sono niente, il vuoto è dentro me e io lo coltivo, la mia serra è una prigione forse il tempo sarà la mia cauzione, forse la morte?
L'equilibrio, la centratura, il fottuto fulcro di questa vita è nascosto in ere d'universo, storie di galassie perdute al suono dell'infinito che battono il tempo, scrupolose si affacciano sullo spazio e spariscono, retrocedono alla nostra vista, dove sono questi tesori, perchè la distanza ce li nega? Perchè ci hanno dato braccia corte e un universo infinito? Serve a questo la mente? A poterlo abbracciare senza usare gli arti? L'universo è la danza che ballano i miei pensieri e anche se non sono un ballerino provetto mi abituerò al suo ritmo frenetico su un tempo breve. Un moscerino sbatte le ali mille volte al secondo, la nostra vita non fa molta differenza, ci ricorderemo di amori persi, del sesso, piangeremo forte, avremo voglia di fare l'amore, vorremmo gridare e assordare il mondo, tutto nella fine in quell'ultimo respiro in cui sta racchiusa una vita, l'esalazione di ogni sentimento che un essere umano può provare, sarà denso e freddo come il ghiaccio, sarà il sole a Dicembre, sarà l'ultima goccia di fiume nel mare. Saremo terribilmente insoddisfatti, potremmo fare di più, dovremmo fare di più ma l'educazione ci allontana e il buon senso alle volte è troppo, l'essere umano è troppo raffinato per essere un figlio della natura, il processo di rinnegazione è stato ormai avviato. Saremo insoddisfatti, molto, non avremo fatto abbastanza e ci chiederemo perchè una qualsiasi cosa, dal pulviscolo fino agli steli dei girasoli, debba finire. Scusatemi ma è inaccettabile, io non finirò, non ora, non qui, mai.
Non sono niente, schiuma di onde, burattino, corallo, non sono un poeta e nemmeno uno scrittore, non sono sabbia nel vento e non sono un fulmine.
Io dico che tutto può finire ma niente veramente.
venerdì 25 novembre 2011
mercoledì 16 novembre 2011
Diamine non sono mai stato bravo a parlare, non tanto quanto nello scrivere e questo non è uno slancio di modestia, per carità. Mi fuggono le parole, non è bello, affatto. Marciano in direzione ostinata e contraria contro di me, si spellano della loro luce, calcolano male i bersagli, non affondano più. Perchè magari c'era un tempo in cui le parole, codeste inutili, mi aiutavano a pescare nel fiume, nel tempo, oceani di persone pronte ad abboccare. E oggi me ne sono rimaste poche da dire, le perdo, non riesco più a ritrovarle e questo è un dannato labirinto, cosa c'è dietro l'angolo? L'angolo di un angolo disossato all'infinito. Angoli su angoli tondi di dolcezza, come la sambuca su questa manica. E io non so cosa voglio dalle parole, le ho sempre preferite ai fatti, sbagliando, ma ho sempre creduto che senza la scintilla di un pensiero, quel piccolo Big Bang che avviene nel nostro cervello, intriso inverosimilmente di chimica, le mani non si potessero mai muovere con delicatezza o con rabbia.
Che mi succede, non lo so e non lo saprò mai se non saperlo è quello che mi fa impazzire.
Le parole sono una invenzione dell'uomo, quindi deboli e cattive e gli alberi non parlano ma sanno aiutarci ugualmente. Io ne ho poche da dire, molto poche, litigano sempre più con il pensiero, si fermano a metà strada del cranio in vicinanza del naso, poi le soffio via sbuffando e ansimando. E forse succede che sto amando il silenzio sempre più, le mie confessioni le faccio a lui e in quel suo annuire, mentre mi dolgo dei miei peccati, c'è il rimbombo della morte.
Che mi succede, non lo so e non lo saprò mai se non saperlo è quello che mi fa impazzire.
Le parole sono una invenzione dell'uomo, quindi deboli e cattive e gli alberi non parlano ma sanno aiutarci ugualmente. Io ne ho poche da dire, molto poche, litigano sempre più con il pensiero, si fermano a metà strada del cranio in vicinanza del naso, poi le soffio via sbuffando e ansimando. E forse succede che sto amando il silenzio sempre più, le mie confessioni le faccio a lui e in quel suo annuire, mentre mi dolgo dei miei peccati, c'è il rimbombo della morte.
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