venerdì 25 novembre 2011

Il vino non mette allegria se si è da soli, ci getta, non so ben dirvi dove ma questa nave ha uno strano timone. Io brindo a te anima torbida e dolce, brindo a quel tavolo di legno dove ho appoggiato il peccato, brindo a tutti i posaceneri del mondo, brindo a tutte queste fontane che sgorgano acqua, quanto sarebbe bello poterne prendere un po' da ognuna. Quanto sarebbe bello conoscervi uno ad uno, innamorarmi e poi sottrarmi alla vostra possessione, quanto sarebbe bello poter gioire un secondo, uno scoppio di vita, quanto sarebbe bello.
Io sono tutto e tutto è imprigionato dentro di me, sono rabbia, nocche rosse, oppure sono passione, carezze di velluto, sono malinconia, miele amaro. Sono tutto e per questo sono niente, il vuoto è dentro me e io lo coltivo, la mia serra è una prigione forse il tempo sarà la mia cauzione, forse la morte?
L'equilibrio, la centratura, il fottuto fulcro di questa vita è nascosto in ere d'universo, storie di galassie perdute al suono dell'infinito che battono il tempo,  scrupolose si affacciano sullo spazio e spariscono, retrocedono alla nostra vista, dove sono questi tesori, perchè la distanza ce li nega? Perchè ci hanno dato braccia corte e un universo infinito? Serve a questo la mente? A poterlo abbracciare senza usare gli arti? L'universo è la danza che ballano i miei pensieri e anche se non sono un ballerino provetto mi abituerò al suo ritmo frenetico su un tempo breve. Un moscerino sbatte le ali mille volte al secondo, la nostra vita non fa molta differenza, ci ricorderemo di amori persi, del sesso, piangeremo forte, avremo voglia di fare l'amore, vorremmo gridare e assordare il mondo, tutto nella fine in quell'ultimo respiro in cui sta racchiusa una vita, l'esalazione di ogni sentimento che un essere umano può provare, sarà denso e freddo come il ghiaccio, sarà il sole a Dicembre, sarà l'ultima goccia di fiume nel mare. Saremo terribilmente insoddisfatti, potremmo fare di più, dovremmo fare di più ma l'educazione ci allontana e il buon senso alle volte è troppo, l'essere umano è troppo raffinato per essere un figlio della natura, il processo di rinnegazione è stato ormai avviato. Saremo insoddisfatti, molto, non avremo fatto abbastanza e ci chiederemo perchè una qualsiasi cosa, dal pulviscolo fino agli steli dei girasoli, debba finire. Scusatemi ma è inaccettabile, io non finirò, non ora, non qui, mai.
Non sono niente, schiuma di onde, burattino, corallo, non sono un poeta e nemmeno uno scrittore, non sono sabbia nel vento e non sono un fulmine.
Io dico che tutto può finire ma niente veramente.

mercoledì 16 novembre 2011

Diamine non sono mai stato bravo a parlare, non tanto quanto nello scrivere e questo non è uno slancio di modestia, per carità. Mi fuggono le parole, non è bello, affatto. Marciano in direzione ostinata e contraria contro di me, si spellano della loro luce, calcolano male i bersagli, non affondano più. Perchè magari c'era un tempo in cui le parole, codeste inutili, mi aiutavano a pescare nel fiume, nel tempo, oceani di persone pronte ad abboccare. E oggi me ne sono rimaste poche da dire, le perdo, non riesco più a ritrovarle e questo è un dannato labirinto, cosa c'è dietro l'angolo? L'angolo di un angolo disossato all'infinito. Angoli su angoli tondi di dolcezza, come la sambuca su questa manica. E io non so cosa voglio dalle parole, le ho sempre preferite ai fatti, sbagliando, ma ho sempre creduto che senza la scintilla di un pensiero, quel piccolo Big Bang che avviene nel nostro cervello, intriso inverosimilmente di chimica, le mani non si potessero mai muovere con delicatezza o con rabbia.
Che mi succede, non lo so e non lo saprò mai se non saperlo è quello che mi fa impazzire.
Le parole sono una invenzione dell'uomo, quindi deboli e cattive e gli alberi non parlano ma sanno aiutarci ugualmente. Io ne ho poche da dire, molto poche, litigano sempre più con il pensiero, si fermano a metà strada del cranio in vicinanza del naso, poi le soffio via sbuffando e ansimando. E forse succede che sto amando il silenzio sempre più, le mie confessioni le faccio a lui e in quel suo annuire, mentre mi dolgo dei miei peccati, c'è il rimbombo della morte.

lunedì 31 ottobre 2011

Pensare troppo e ricordare molto, non ho mai smesso di farlo, per quanto sia incomprensibile per un uomo cedere a sogni più grandi di lui, combattere con testardaggine contro le illusioni, come buttare una goccia d'acqua nel Nilo, inutile.
Eppure se non sprechiamo il nostro prezioso tempo in rincorse a stelle lontane, comete azzure, rosse, con quel motore celeste che le scaraventa ai confini dell'occhio. Beh, se non sprechiamo tempo, quel tempo che si può contare quando ci accorgiamo della sua esistenza, quel tempo di noia, quel tempo tempo, insomma, non potremmo essere uomini. L'uomo sogna ed il futuro è passato, l'uomo ha incubi e noi siamo poveri diavoli e un sogno è pur sempre un inferno, poveri diavoli della brama dai piccoli sogni, piccoli e dolci sogni, i nostri. Ci sono però uomini che pensano e ricordano troppo, e il sognare gli vien facile, onde di sogni, terremoti di desideri ed è apocalisse nei loro pensieri. Non vorrò fermarmi, penso e ricordo troppo, penso e ricordo troppo, troppo spreco di tempo per una sorta di assuefazione o perchè non può essere altrimenti, scoppiasse il mondo non mi fermerò. Ricordo e penso troppo.

sabato 29 ottobre 2011

Luna nuova
e troppe stelle
il cielo cova.

Libro vecchio
con pagine gialle
sei il mio specchio.

Giovani fiori
già appassiti
treman qui fuori.

Eroi persi
ieri son partiti
per cieli tersi.

Una donna
sposta i petali
ad ogni tomba.

Passan gli anni
in giri letali,
su giostre d'inganni.

Luna piena
bacia il sole,
la bocca trema.

Sole, chi sei,
morte di parole,
labbra degli dei.

mercoledì 26 ottobre 2011

C'è una cosa che mi riesce bene fare: muovere i piedi.
Non per fare magie con la palla ne per scattare al colpo di pistola fumante. Per camminare, già. Si muovono con la mia mente, la mia mente si muove con loro, siamo un tutt'uno, anima e piedi. E' una vita che solcano mari grigi di disperazione, piastronate, solchi, terra, sabbia, lasciano orme di gabbiano sulle pozzanghere, spente dalle nuvole e accese dal sole. Saltano, ragazzi se saltano, fino a stracciare quella tapezzeria di stelle che qualcuno ha messo nello sgabuzzino del mondo, stretto e basso, ma non abbastanza da privarmi il salto. Camminare e osservare. foglie che cadono gialle come pulcini, facce tristi, di ragazza, allegre e ridenti, la notte che si presenta come un grande "unisci i puntini", risolvi la vita con la morte, non abbiamo matite nucleari, qui, la poesia non si fa con l'atomica, ma con i piedi.
Quattro ruote e un sedile che scotta, ci agita, ci uccide. E io e i miei piedi contempliamo dalle suole, tutto ciò che schiacciamo, tutto ciò che attraversiamo, tutto ciò che sentiamo tra pulcini morti, tra la ghiaia dei cimiteri, se solo potessero camminare nell'universo o in equilibrio sull'atmosfera. Che ci camminano a fare dentro questo maleodorante mare di male? Ma voi uomini che camminate a fare se avete imparato a volare, a superare la velocità della luce, fermatevi almeno su questa tomba che è il mondo, l'unica tomba dove i morti stanno fuori.
Fermi.
Gelidi.
Vuoti dentro, gomme da masticare sputate per terra calpestate dal loro stesso assurdo frenetico passo. Ma dove muovete quei piedi sciocchi, che li avete a fare se non per tartassarli? E dite che Dio vi ha creato per smentirvi creando. Non ha molto senso, nulla ha senso a pensarci bene, tutto ha un senso a pensarci male. Ma quanti passi ho fatto nell'insensatezza del mio cammino, e sbandavo ubriaco tra i ciotoli che si confondevano, e inciampavo su una palla di fieno e mi lanciavo nel sentiero impervio del Dio della montagna maestoso e imponente. E' lì che porto i miei piedi, tra i sassi, le rocce inutili che voi avete scordato, dove ogni filo d'erba respira cose che voi non avete mai respirato e gioiscono, se ne vantano.
Lascerò le mie orme di pulcino su un paio di cuori prima di imparare a camminare finalmente sulle vette della verità, puro e duro come un diamante, con i piedi devastati e graffiati che affondano nel fango nudi, sporchi, la loro meta è la stanchezza. E seppellitemi a testa in giù perchè è una vita che penso con i piedi.

lunedì 17 ottobre 2011

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Solo pezzi di carne allineati, pronti a ricevere giornalmente il tempo, pronti a sprecarlo. Ci sono uomini che si sentono superiori ad esso, lo sfidano ad armi pari, contano minuti e secondi.
Solo pezzi di carne, non resta altro, burattini con fili appesi sulle stelle, orientati dalla loro stessa luce. Vorrei che il nostro burattinaio fosse il Cosmo, l'energia del vuoto, riesce a far vibrare le corde della disperazione, l'immensità sbatte contro quel pensiero umano così limitato, con mani e braccia troppo corte per poter abbracciare l'infinito, dove basterebbe una scintilla per farlo illuminare. L'eternità è una strada che si sceglie, per molti una via di periferia nascosta in una zona industriale dove rintoccano ovunque fabbriche di orologi. Un obiettivo pur sempre realizzabile, certo, ma la storia soffre spesso di perdite di memoria.
Ma che siamo oggi, un brivido sulla terra, un fremito d'oceano, nulla che viva più di sabbia e fango. Cos'eravamo ieri? Fuoco, piombo, sangue, costruzioni imponenti e uomini, nient'altro che poveri fratelli orfani per scelta di un padre che mi piace chiamare Universo.
Saremo nulla sul ciglio della fine, pronti a portare giù chi amiamo, a trascinare ogni piccola storia nell'infinito.

martedì 11 ottobre 2011

Storie.

Il tempo non passa seduti su una panchina, ci costringe ad osservare, immaginare, credere e morire. Mi annega nella fantasia, nelle domande. Chi siete voi che passate? Quanta vita avete? E io, io chi sono? Cos'è questo buio dentro di me che vorrebbe brillare, questa voce muta che vorrebbe gridare?
Quante storie ci sono là fuori, alcune scoppiano d'energia, di vibrazioni, altre hanno già un lieto fine prima del tempo, prima della stessa fine, prima di tutto. Ci sono storie d'altri tempi sospese nella realtà, il loro nascondiglio preferito, il loro anfratto proibito, queste storie non parlano ne si svelano, si lasciano penetrare dal dolore e si cullano nella disperazione. Quanti padri e madri, quanti figli hanno baciato la terra, storie di distruzione l'hanno sommersa di lacrime, ma quante carezze ancora le vorrò dare, perchè non c'è storia che non sia passata di qua, non c'è piede che non abbia scritto sentieri. E io vi vedo, come vorrei vedere me, seduto qui, a riflettere su di te, mondo, su quante storie hai generato, storie dentro storie, su di te, universo, storie di galassie, storie di stelle. Su di me, povero diavolo frutto di una storia forse diversa, forse no, a modo suo bella, come i confini radioattivi dell'universo dove è morta l'ultima scintilla, dove non resta nulla se non un sorriso.