Diamine non sono mai stato bravo a parlare, non tanto quanto nello scrivere e questo non è uno slancio di modestia, per carità. Mi fuggono le parole, non è bello, affatto. Marciano in direzione ostinata e contraria contro di me, si spellano della loro luce, calcolano male i bersagli, non affondano più. Perchè magari c'era un tempo in cui le parole, codeste inutili, mi aiutavano a pescare nel fiume, nel tempo, oceani di persone pronte ad abboccare. E oggi me ne sono rimaste poche da dire, le perdo, non riesco più a ritrovarle e questo è un dannato labirinto, cosa c'è dietro l'angolo? L'angolo di un angolo disossato all'infinito. Angoli su angoli tondi di dolcezza, come la sambuca su questa manica. E io non so cosa voglio dalle parole, le ho sempre preferite ai fatti, sbagliando, ma ho sempre creduto che senza la scintilla di un pensiero, quel piccolo Big Bang che avviene nel nostro cervello, intriso inverosimilmente di chimica, le mani non si potessero mai muovere con delicatezza o con rabbia.
Che mi succede, non lo so e non lo saprò mai se non saperlo è quello che mi fa impazzire.
Le parole sono una invenzione dell'uomo, quindi deboli e cattive e gli alberi non parlano ma sanno aiutarci ugualmente. Io ne ho poche da dire, molto poche, litigano sempre più con il pensiero, si fermano a metà strada del cranio in vicinanza del naso, poi le soffio via sbuffando e ansimando. E forse succede che sto amando il silenzio sempre più, le mie confessioni le faccio a lui e in quel suo annuire, mentre mi dolgo dei miei peccati, c'è il rimbombo della morte.
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